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Dossier di analisi della Legge Gasparri.
“1. Signori, il digitale”, La Gazzetta politica,
XIX (18)

 

 

 

 

 

 

 

Dossier di analisi della Legge Gasparri

Legge 3 maggio 2004, n.112


Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonche' delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione.

Contributo alla discussione di Bruno Somalvico
(Segretario Generale Associazione Infocivica - Gruppo di Amalfi) pubblicato in cinque puntate su La Gazzetta Politica 2004

“1. Signori, il digitale”, La Gazzetta politica, XIX (18), 7 maggio 2004, p. 13; “2. C’è odore di protezionismo”, La Gazzetta politica, XIX (19), 14 maggio 2004, p. 13; “3. TV digitale e…2006”, La Gazzetta politica, XIX (20), 21 maggio 2004, p. 13; “4. Dove regna la pubblicità”, La Gazzetta politica, XIX (21), 28 maggio 2004, p. 13; “Un confronto impari”, La Gazzetta politica, XIX (22), 4 giugno 2004, p. 13.


La legge di riforma del sistema radiotelevisivo ha puntato molte delle sue carte (contestatissime dalle opposizioni, e non solo) sul pluralismo portato dal nuovo sistema.

Signori, il digitale

7 maggio 2004

Il disegno di Legge Gasparri è legge dello Stato. E' stato accompagnato da una lunga e complessa fase di gestazione in varie sedi (tecniche, politiche e persino istituzionali) ma anche da un gran numero di polemiche spesso apocalittiche che hanno rallentato l'indispensabile adeguamento del nostro sistema delle comunicazioni al nuovo quadro europeo sulle comunicazioni elettroniche. La società in cui viviamo è stata caratterizzata  da una  accelerazione dei processi tecnologici, una sorta di velocizzazione degli eventi che ha impedito al Legislatore di fissare norme e regole per governare questi processi.
Occorre distinguere alcuni principi fondamentali che riguardano ad esempio il pluralismo e la missione primaria del servizio pubblico (missione che va peraltro ridefinita e aggiornata) da tutti quegli aspetti legati alle opzioni tecnologiche, all'organizzazione dei mercati, all'assegnazione dei titoli abilitativi di esercizio per le imprese e alle regole del gioco  che investono la governance di un sistema delle comunicazioni in costante e rapida evoluzione.
Un approccio al contempo flessibile e pragmatico, privo di eccessive certezze e di dogmi, ha caratterizzato l'Unione Europea nell'ultimo decennio. Un tale approccio ha consentito di governare una situazione davvero imprevedibile nel corso della quale sono state smentite facili profezie: la Nuova Economia ha subito un tracollo, sono falliti i matrimoni delle conglomerate hard soft, la  convergenza fra internet e tv ha conosciuto una decisa battuta d'arresto.


Una transizione di fondo

La riflessione avviata in Italia dal Legislatore all'inizio del nuovo Millennio è avvenuta nella consapevolezza che siamo di fronte ad una transizione di fondo dalla società post industriale verso la società dell'informazione, che la globalizzazione aveva dato davvero l'ultima spallata ai vecchi mercati nazionali protetti, ma che il futuro, l'assetto della società dell'informazione, manteneva e mantiene tutt'oggi contorni del tutto imprevedibili. A modo loro, sia il centro sinistra con l'approvazione della Legge 66 nel marzo 2001 sia il centro destra con la Legge Gasparri hanno cercato di accelerare il processo di transizione della televisione dal tradizionale panorama oligocanale analogico al nuovo ambiente  multicanale e multiservizio digitale, convinti che era ormai divenuto improcrastinabile il processo avviato alla metà degli anni Novanta con l'avvio delle prime piattaforme digitali via satellite e destinato a concludersi probabilmente non prima metà del prossimo decennio e richiederà pertanto ulteriori aggiornamenti normativi. Gli uni e gli altri, consci dei ritardi e degli errori commessi nel passato, al di là delle polemiche, hanno tentato di disegnare un percorso  pragmatico e flessibile tale da consentire di uscire rapidamente dai vecchi mercati nazionali protetti e di traghettare il nostro sistema televisivo verso un regime di concorrenza e di integrazione multimediale.

Le carenze della legge Mammì.

La riflessione sul nuovo sistema delle comunicazioni elettroniche partiva dalla Legge Mammì del 1990 e dall'assoluta sottovalutazione da parte del legislatore delle questioni inerenti all'innovazione tecnologica. Già allora, sei anni prima dell'avvio delle prime piattaforme televisive digitali via satellite, gli osservatori più acuti notavano come la Legge Mammì avrebbe fotografato l'esistente senza preoccuparsi di preparare il terreno ai nuovi media. La Legge nasceva vecchia. Valga un solo esempio: per la pay tv satellitare prevedeva ad esempio che tre programmi per un editore fossero troppo pochi in un universo dove i primi bouquet analogici satellitari già distribuivano decine di canali televisivi premium e di canali tematici basic. Solo una legge flessibile di medio termine avrebbe potuto superare l'arretratezza del quadro normativo italiano e adeguarlo a quello europeo consentendo all'Italia di recuperare il gap accumulato con gli altri grandi Paesi europei dell'Europa che avevano sviluppato piattaforme distributive e diffusive alternative via cavo e via satellite. Ma in quella fase turbolenta della politica italiana si poteva solo fare una leggina per cambiare le norme di nomina del Consiglio d'Amministrazione della Rai e nient'altro.
Il passaggio al digitale rimescolava in qualche modo le carte. Esso poteva trasformare un vincolo in un'opportunità di crescita e di uscita da quella vecchia e opulenta televisione analogica fotografata e regolata a posteriori dalla Legge Mammì che aveva sino ad allora impedito la crescita del mercato televisivo a pagamento. Rispetto al quadro europeo la prima fase della transizione al digitale era per l'Italia più semplice: non essendosi sviluppate nuove offerte televisive satellitari in tecnologia analogica (la domanda di famiglie tv via satellite era limitata se non trascurabile) non si poneva il problema della loro conversione dall'analogico alla nuova tecnica digitale. In Italia le trasmissioni televisive via satellite e via cavo partivano digitali e sarebbero stati finanziate da nuove risorse provenienti dagli utenti finali, ovvero dagli abbonamenti a pacchetti televisivi a pagamento.
Già allora agli osservatori più avveduti risultava peraltro evidente che la nuova frontiera (prima ancora della convergenza delle reti) sarebbe stata per la televisione la transizione verso la televisione digitale terrestre. La televisione analogica terrestre interessava ancora in maniera esclusiva il 97% delle famiglie ma bisognava svoltare pagine, uscire da un dibattito nazionale preoccupato esclusivamente dalla disciplina dell'esistente. Dalla vecchia comunicazione di massa dominata in Italia dallo strapotere della tv generalista occorreva favorire dispositivi che consentissero non l'amputazione delle imprese, ma la loro crescita e la loro diversificazione su nuovi mercati e su nuovi prodotti, per anticipare gli effetti che inesorabilmente globalizzazione e convergenza tecnologica avrebbero avuto nella formazione di un moderno mercato delle comunicazioni elettroniche.


La Legge Maccanico

Nel 1997 con questo occhio l'Italia anticipava per molti versi il calendario previsto in Europa per la deregolazione delle telecomunicazioni. Al calendario europeo si ispirava infatti la Legge 249 che sanciva la convergenza TV-TLC alla luce delle alleanze fra industrie nelle telecomunicazioni, fornitori di connessione (network provider) e industrie dei contenuti (broadcaster, editori carta stampata, content provider, società cinematografiche e discografiche), creando le basi normative per la concorrenza nelle telecomunicazioni e per il sistema televisivo considerato come uno dei comparti della convergenza multimediale. La Legge Maccanico stabiliva ad esempio che, per trasmettere servizi di pay-tv o di pay -per-view via cavo e via satellite, bastava una semplice autorizzazione del Ministero delle Comunicazioni: i nuovi servizi non erano più equiparati alle televisioni in chiaro terrestri (analogiche) allora ancora soggette a concessione governativa, ma a quelli che poi verranno definiti dalle direttivi comunitarie come servizi della società dell'informazione. In altre parole diventava lecito formare bouquet tematici multicanale. Nello stesso tempo la Legge 249 consentiva ai gestori telefonici di acquisire operatori via cavo e di entrare nelle piattaforme satellitari, ma l'ex monopolista nelle tlc Telecom Italia non poteva essere destinatario di concessioni televisive terrestri in chiaro né fornire programmi o servizi né raccogliere pubblicità per i concessionari tv nazionali o locali su frequenze terrestri in chiaro.

Italia, un ruolo di avanguardia

Nello stesso tempo l'Italia assumeva un ruolo di avanguardia trasferendo i poteri di controllo e di regolazione dal Ministero delle Poste (rinominato Ministero delle Comunicazioni) ad un'unica Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con poteri sull'intero sistema delle comunicazioni elettroniche a distanza senza operare distinzioni fra reti televisive e reti di telecomunicazioni, ma operando nella nuova catena del valore una suddivisione degli 8 Commissari votati dalle due Camere in due commissioni: a) una per le politiche tecnologiche legate alle infrastrutture e alle reti b) l'altra per la regolazione del mercato dei content provider (prodotti) e per la fornitura dei servizi.
La Legge 249 incoraggiava infine la possibilità per la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e per la concessionaria delle telecomunicazioni di partecipare ad una piattaforma unica per le trasmissioni televisive digitali, ponendo le basi per l'ultimo estremo tentativo di dar vita - nel momento in cui cadevano gli ultimi dispositivi che avevano sorretto l'esistenza di mercati nazionali protetti - ad una politica di sistema-paese consentendo a Rai e a Telecom Italia (ancora in mani pubbliche) di stringere accordi con altri editori televisivi e operatori a pagamento. Tentativo - va ricordato - ben presto fallito non appena Telecom entrerà in mani private alleandosi con Murdoch costituendo una seconda piattaforma satellitare in concorrenza con Tele Più entrata sotto il controllo di Canal Plus con la quale nel frattempo la Rai stringerà intese.
Contemporaneamente la Legge Maccanico conteneva a nostro parere diverse ombre. Era in qualche modo prigioniera del retaggio della Legge Mammì nel mantenere divieti di partecipazioni incrociate fra tv e carta stampata ormai desueti, sulla questione dei vincoli antitrust risentiva di un approccio ancora solo settoriale legato al mercato audiovisivo, si preoccupava di rispettare il dettato della Corte Costituzionale relativo alla questione delle reti eccedenti senza adattarlo alle nuove esigenze di assicurare una buona transizione al digitale anche per le reti televisive terrestri le cui trasmissioni stavano per iniziare nel Regno Unito, non affrontava alcuni nodi importanti come quelli legati al mercato pubblicitario e alla riforma del servizio pubblico che sarebbero diventati oggetto di un secondo disegno di legge mai approvato (il Ddl 1138).
L'accordo sul digitale terrestre
Al di là di queste ombre, la Legge Maccanico aveva per certi versi ottenuto un certo consenso istituendo l'Autorità, tentando di ottenere una condivisione metodologica non solo in sede tecnica, ma anche politica con senso dell'equilibri e cercando di non essere troppo prigioniero dei simboli attorno ai quali si schieravano in maniera un po' apocalittica alcuni settori della maggioranza e dell'opposizione entrambe invero assai divise al loro interno. In questo contesto il suo successore Salvatore Cardinale non riusciva a promuovere una legge flessibile di medio termine in grado di recepire le nuove direttive comunitarie e di dar vita ad una riforma ampiamente condivisa della Rai, ma raggiungeva in zona Cesarini attraverso l'impegno del suo sottosegretario Vincenzo Vita un primo e utile accordo bi-partisan sul digitale terrestre che nasceva da un proficuo confronto in sede tecnica avvenuto dapprima nell'ambito del Tavolo Digitale dell'Autorità nel 1999 e poi nell'autunno-inverno nel 2000- 2001 in seno al Forum Permanente delle Comunicazioni. Questo accordo (sia pur ridotto all'approvazione di un calendario per la transizione e all'individuazione di nuovi titoli abilitativi in sostituzione delle vecchie concessioni per i broadcaster verticalmente integrati in base al nuovo pacchetto di direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche a distanza),  spianava la strada all'approvazione in zona Cesarini della Legge 66 nel marzo 2001 che sarà seguita da un Regolamento di attuazione approvato dall'Autorità nell'autunno successivo.
Tre anni dopo nel maggio 2004 in perfetta continuità con questa scelta (che già allora rendeva possibile, nella fase di avvio, il cosiddetto trading delle frequenze, ossia la possibilità per gli attuali concessionari di acquistare le risorse per irradiare i nuovi programmi digitali terrestri senza rinunciare nella fase transitoria alle proprie trasmissioni analogiche), il legislatore non fa altro che introdurre obblighi di illuminazione e dispositivi per gli utenti tesi a rafforzare questa scelta irreversibile a favore dello sviluppo della televisione digitale terrestre. Sotto questo profilo dunque non possiamo assolutamente parlare di una rottura con le scelte operate nella scorsa legislatura dalla maggioranza dell'Ulivo. La legge Gasparri risulta invece  sotto questo profilo in perfetta continuità con la Legge 66.

(Bruno Somalvico)