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Enrico Menduni

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EVENTO INFOCIVICA
E' POSSIBILE COSTRUIRE UNA TELEVISIONE PUBBLICA EUROPEA?
Torino Prix Italia – 24 settembre 2009


Enrico Menduni

Docente di Culture e formati della televisione e della Radio
Università di Roma Tre.

 

Costruire una televisione pubblica Europea ? Problemi e prospettive aperte dal Trattato di Lisbona

Le relazioni presentate a questo incontro confermano che la televisione europea ha attraversato tre periodi: il primo caratterizzato da televisioni di servizio pubblico in regime di monopolio (con la parziale eccezione di Independent Television nel Regno Unito), e finanziato prevalentemente dagli abbonamenti o da fondi statali; il secondo caratterizzato da una convivenza tra televisioni di servizio pubblico ed emittenti commerciali, in cui la risorsa più dinamica è stata la pubblicità: ed un terzo di televisione digitale, segnato da grande abbondanza di canali e largamente sovranazionale, nel quale sono i pagamenti degli utenti (per la pay-per-view) la risorsa più incisiva. In questo terzo periodo si colloca anche la fine della “variante autoritaria del servizio pubblico” presente nei paesi europei ex comunisti, cui ha fatto seguito una selvaggia liberalizzazione.

Un singolare paradosso è che le televisioni di servizio pubblico sono state più europee quando l'Europa non c'era. Sono state le imprese radiotelevisive dei vari stati nazionali europei a far nascere l'Union Européenne de Radiodiffusion (1950), l'Eurovisione (1954), EVN EuroVision News (1954), ed anche il Prix Italia che oggi ci ospita (1948). Ma il Trattato di Roma (1957) non nomina mai la radio e la tv, nemmeno negli allegati, mentre sono citati le banane, gli oli minerali o il caffè.

Nella seconda fase, quella della concorrenza, le differenze tra i vari servizi pubblici europei, tutti legati alla politica ma con modalità diverse, hanno prevalso sui tratti comuni che pure esistevano e che risalivano in parte all'impostazione di Lord Reith. Ciascun paese ha affrontato in modo peculiare il passaggio dal monopolio alla concorrenza e la prima direttiva “Televisione senza frontiere” arriva (1989) quando in gran parte dei paesi tale transizione era già avvenuta. In questo periodo avrebbe potuto impiantarsi un canale pubblico paneuropeo ma il “Libro verde” (1982) non ne parla e generosi esperimenti paneuropei hanno vita stentata, con l'eccezione di Euronews (1992).

Le cose si complicano negli anni Novanta quando, nella terza fase tra quelle che abbiamo sopra indicato, la politica di liberalizzazione e privatizzazione è diventata il Leitmotiv dell'Unione nel Trattato di Maastricht (1986) e quando si sbriciola ogni paratia fra il settore delle telecomunicazioni e quello del broadcasting radiotelevisivo. Peraltro nemmeno nel Trattato di Maastricht viene mai citata la radiodiffusione. Il noto protocollo aggiuntivo del trattato di Amsterdam (1997) ha creato uno scudo difensivo attorno al servizio pubblico, ma nella forma di una sorta di “eccezione culturale” che non deve violare la concorrenza. Gli si nega quindi ogni vitalità economica. Un esempio: appena una tv di servizio pubblico si introduce nella tv digitale (è preciso dovere di ogni management seguire l'evoluzione tecnologica) viene accusata di turbare la concorrenza, utilizzando aiuti di stato, soprattutto se cerca di richiedere pagamenti ai suoi utenti: quei pagamenti dei clienti che si dimostrano in questi anni la risorsa più dinamica.

Con Amsterdam il servizio pubblico rischia di diventare un museo dell'audiovisivo, o una Pbs americana, anche per il sostanziale fallimento dei progetti di e.Europe che hanno impattato con lo scoppio dalla dot.com bubble e con l'11 settembre 2001. Naturalmente l'assenza di una politica europea per i servizi pubblici non ha aiutato la trasformazione dei sistemi radiotelevisivi dei paesi ex comunisti.

Questo pessimismo può essere ridotto da un attento esame del Trattato di Lisbona, e del protocollo ivi incluso sui “servizi d'interesse generale”. Se si pensa che il Trattato di Nizza consente “geometrie variabili” nelle alleanze europee (“cooperazione rafforzata”) lo spazio per iniziative di sviluppo e non solo di tutela dei servizi pubblici diventa significativo. Sottolineo alcuni punti:

•  Le iniziative non possono realizzarsi se non in digitale e introducendo forme di pagamento degli utenti, pena il loro fallimento per la stagnazione delle altre risorse dei servizi pubblici. Non può concepirsi l'impegno digitale dei servizi pubblici come un investimento a fondo perduto.

•  Non sarà possibile ottenere l'accordo di tutti ma sono auspicabili iniziative plurime a geometria variabile.

•  Esse devono avere sia una dimensione produttiva che di messa in onda sovranazionali.

•  Esse potranno vedere una maggioranza di servizi pubblici ma una cooptazione di energie di altro tipo, non solo comunitarie ma commerciali, ed anche Users generated contents.

•  Esse non possono limitarsi all'informazione sull'Unione europea o alla divulgazione delle sue politiche, come taluno intende il canale europeo.

E' opportuno infine riflettere sul fatto che lo “scambio ineguale” tra Europa e Usa in termini di contenuti televisivi si è largamente modificato. L'industria dei format è largamente europea (Endemol, Strix ecc.) ed ha una dimensione mondiale. Accanto a tanti fattori di pessimismo e' dunque possibile introdurne altri più aperti al futuro.

Vorrei concludendo porre alcune domande ai relatori:

•  Ritenete possibile nel nuovo quadro di Lisbona la formazione di un ente radiotelevisivo di diritto europeo?

•  Ritenete che le differenze tra i vari sistemi radiotelevisivi e in particolare nella transizione al digitale (penso in particolare alla Germania) tenderanno a diminuire?

•  Volete trarre un bilancio dell'esperienza francese di una rete pubblica priva di pubblicità?

•  Non ritenete che nella situazione attuale la abolizione della pubblicità si trasformi in una ulteriore marginalizzazione dell'emittenza pubblica?

•  Secondo voi l'esperienza televisiva pubblica europea dovrà avvalersi delle nuove tecnologie digitali e, al loro interno, della pay-per-view assicurando una nuova risorsa finanziaria?

•  Ritenete che si possa parlare di un modello “latino” di neo-televisione (Penisola Iberica, Francia, Italia) diverso rispetto ad uno “continentale” (prevalentemente tedesco), all'esperienza inglese mista di liberismo e di valori Reithiani, e al modello “nordico” dei servizi pubblici scandinavi?

•  Come pensate sia possibile integrare nell'esperienza televisiva europea i paesi post-comunisti con la commercializzazione spinta che si è verificata al loro interno?

•  Come è possibile passare dalla tutela del servizio pubblico alla sua affermazione nell'era della concorrenza e della privatizzazione?

Grazie.